JOHN CONSTABLE: IL CORTEGGIATORE DELLE NUBI
a cura di Elisa Colangeli


“Mi è stato spesso consigliato di considerare il cielo come un lenzuolo bianco appeso dietro agli oggetti. Certo, non è bene che il cielo sia troppo invadente, ma se fosse inesistente sarebbe ancor peggio”.
(J.Constable)
Sorge lento il sole ad Hampstead Heath.
I suoi raggi pallidi a stento superano le nubi color cenere che danno il buongiorno ad una città ancora avvolta dal torpore della notte trascorsa. Londra, dal canto suo, risponde con il sorriso elettronico e singhiozzante dei suoi mille semafori e lo scalpiccìo sordo dei passanti. Il suo abito sgualcito, come di chi si è vestito di gran fretta per scappare alla fermata del tram, svanisce dolcemente in morbide stoffe di colore candido non appena ci si muove verso i sobborghi più esterni, dove le foglie ingiallite di questo presagio d’autunno si lasciano incantare dalle rapide folate di maestrale proveniente dalla vicina campagna. Non più di duecento anni fa qui non v’erano eventi tanto rapidi né rumori tanto improvvisi da attutire la saltuaria prepotenza dell’estate o schermare le vicende umane dalla dimensione infinita dell’aria. Anzi, a ben ricordare, il cielo possedeva il suo cantore che non in versi, ma con la pittura, ne descriveva il dinamismo e giorno dopo giorno cercava nelle nuvole leggi e razionalità più che una semplice risposta alla Fortuna e al Caso.
John Constable, classe 1776, rampollo di buona famiglia borghese dotato, secondo le fonti, di bellezza, eloquenza e stile, si istruì pittore prima per passione e poi per mestiere, trovando nel cielo e nei paesaggi pianeggianti del Kent la sua fonte di ispirazione primaria. Ai ritratti di amorini, di ninfe danzanti e di eroi greci dalle movenze tragiche e dalla fisionomia dei nobili dell’epoca, egli preferiva la terra bruna dei campi appena solcati dall’aratro e il fluire silenzioso delle acque, intente ad approfondire il proprio corso e a riposare in stagni adombrati e circondati da canneti. Qui e là, sapienti dettagli di mattoncini rossi, cavalli al traino e il profilo di una cattedrale gotica a levarsi vittoriosa nell’intimità dei colori del meriggio donando così le dimensioni di spazio e tempo a immagini solo in apparenza poco caratterizzanti e degne di memoria. Non necessariamente infatti la familiarità del mondo tangibile fatto di fiumi, fiori e scheletri d’albero implica l’assenza di una ricerca concettuale di significati più profondi che si rendono manifesti attraverso elementi naturali semplici. Basti pensare a tale proposito che Constable amava parlare di sé come di “pittore scienziato”, e pennellata dopo pennellata imprimeva su tela scampoli di realtà intrisi delle sue conoscenze di geologia, botanica e meteorologia. L’avvicinamento all’essenza profonda della realtà, e, perché no, la ricerca di una possibile dimensione trascendente si traducevano nella scientificità della pittura e nel considerare i quadri veri e propri esperimenti volti all’indagine empirica della Natura e della vasta fenomenologia che l’accompagna.
E’ impresa ardua tentare di separare le diverse trame del sapere laddove filosofia e scienza appaiono così intimamente legate; l’interdipendenza delle discipline suggerisce ora, come anche suggeriva nell’Inghilterra dell’epoca Romantica in cui Constable viveva ed operava, la possibilità di rintracciare proprio nella Natura il sanarsi dell’opposizione dei contrari, nonché la loro convivenza pacifica, che tanta importanza riveste nella storia della filosofia occidentale. Di conseguenza, ogni artista Romantico percepiva come dovere morale l’adesione a tale concezione naturalistica della vita ed in nome dell’armonia dell’universo, in letteratura come in pittura o in musica, dava forma alla propria interiorità intellettuale.
Terra, aria, acqua e fuoco, in solitudine o in unione gli uni con gli altri, offrono forma e consistenza alla Verità della Natura. Nella produzione pittorica di Constable sono gli elementi freddi a predominare incontrastati attraverso i numerosi ritratti di nuvole e cieli talvolta sovrastanti il mare. Si tratta di cieli per lo più senza stormi, acque rese vive dall’incresparsi delle onde più che dalla spuma delle scie di barche e dagli ormeggi sulla riva. Le nubi si mostrano come gli occhi gentili dell’aria e manifestano il silenzio e la quiete nelle giornate limpide, quando i venti interessano gli strati più alti dell’atmosfera, o, al contrario, impersonano lo sguardo torvo e corrucciato delle tempeste e delle piogge che si abbattono violente.
La rappresentazione che Constable ne offre è tutt’altro che semplicistica o banale: le nuvole non appaiono come batuffoli d’ovatta dal sapore fanciullesco, bensì sono riportate con estrema attenzione nei loro dettagli cromatici e strutturali. Usualmente sono accumulate in masse ampie e dense e sembrano, data l’imponenza, muoversi solo lentamente; non sono mai incollate sul cielo, ma hanno il cielo dietro di loro, hanno un proprio volume e occupano uno spazio definito. La resa pittorica di tali caratteristiche presuppone da un lato l’osservazione diretta e prolungata, da parte dell’artista, dei tipici meccanismi di formazione delle nubi; dall’altro, lascia presagire che il pittore avesse anche una personale conoscenza dei fondamenti di meteorologia, e in particolare fosse al corrente dell’esistenza di una modalità di classificazione delle nuvole introdotta agli inizi dell’Ottocento e poi tornata alla ribalta verso il 1820 con la ripubblicazione e l’inserimento di un articolo di Luke Howard ("On the Modification of Clouds" -1803) in un testo redatto dal medesimo autore avente per oggetto la climatologia dell’ambiente urbano londinese.
La distinzione delle nuvole in cirri, cumuli, strati e nembi ancor oggi vigente in meteorologia, pur nelle inevitabili integrazioni e specificazioni subite nel corso del tempo, ha trovato luce negli stessi spazi in cui Constable operava ed egli, da buon “pittore scienziato”, non ha mancato l’occasione di aggiornarsi sulle tematiche più attuali dello studio dei fenomeni atmosferici sottoponendole, ove possibile, ad un minuzioso processo di analisi e critica.
Numerose sono infatti le annotazioni, rinvenute sul retro dei suoi studi di nuvole, nelle quali Constable ha riportato informazioni meteorologiche, non sempre collegate al momento preciso in cui dipingeva un particolare dipinto, forse scritte molto tempo dopo che la tinta ad olio si fosse asciugata, ma in ogni caso tanto dettagliate da suggerire conoscenza della materia e da permettere ad un meteorologo dei nostri tempi di ricostruire, sulla base delle descrizioni di direzione, forza ed effetto del vento, le condizioni generali del tempo di cui le nuvole erano chiaro segno.

“12 Settembre 1821. Mezzogiorno. Vento fresco da Ovest […] Sole molto caldo. A Sud sembra eccessivamente luminoso, vivido, piogge molto forti nel pomeriggio ma una buona serata. Vento alto nella notte ”

I primi passi della moderna meteorologia sono dunque da rintracciare anche nelle riflessioni di un pittore che, a suo modo, ha contribuito al successivo sviluppo della disciplina e, complessivamente, all’arricchimento del panorama culturale dell’età Romantica fornendo ispirazioni per la pittura “en plein air” che troverà piena realizzazione nei quadri dell’Impressionismo francese.
Lasciamo Constable alla magica velatura dei suoi cieli di acquerello e colori ad olio, al suo tendere all’infinito usando una semplice tela e un cavalletto su cui poggiarla; lasciamo che i suoi ritratti di nubi ci riportino ai giorni in cui per gioco ci sforzavamo di vedere in esse forme di animali e volti di persone.
E guardando il cielo, cerchiamo di non vedere in quella macchia bianca che vi giace solamente una nube, ma piuttosto immaginiamo l’infinito che vi è al di là della sua sagoma.

18/03/2007